Se cercate un disco da
affiancare all’ultimo, fresco di stampa, dei Tinariwen… beh, lo avete
trovato. Le voce di Aziza ha dell’incredibile: copre idealmente una
fascia sonora che parte dal deserto del Sahara e lambisce nientemeno che
la Spagna mozarabica. Fra i due estremi di quest’arco, c’è tutta la
poesia delle canzoni che ascolterete: un intrecciarsi continuo di
sonorità nordafricane (in special modo algerine e marocchine) marchia a
fuoco le struggenti interpretazioni di questa ex profuga-bambina. A
volte, poi, si incappa in veri e propri blues del deserto: tipo in Espejismos
(cantata in spagnolo), che ruba ai maestri delle dodici battute
l’intensa semplicità di un racconto intimo e dolente. Amore, morte,
abbandono, sofferenza: è tutto quello che troverete in questo disco,
sublimato da uno straordinario lirismo, degno dell’interprete più
navigata ma anche più profonda. Il mio consiglio è questo: provate a
fare un viaggio in queste acque, perché sebbene all’apparenza turbolente
e insidiose, sapranno regalarvi emozioni che non dimenticherete così
facilmente. Almeno, così è successo a me. Questo disco ha la capacità di
ridurre all’osso l’ossessività ritmica tipica delle musiche
nordafricane, senza per questo perdere in mordente: anzi, accentuando
ancor di più il lirismo. Un disco per molti, ma non per tutti. Un disco
per chi non ha paura dei propri fantasmi.
Massimo Padalino
RockeRilla
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